Note
La «riforma» di Gluck non fu la prima riorganizzazione subita dall’opera lirica: una cinquantina di anni prima Apostolo Zeno (1688-1750) e Pietro Metastasio (1698-1782) ne avevano proposta un’altra, che tolse la commistione dei generi, originando non solo una netta divisione tra opera seria e opera comica, ma anche una severa separazione tra il momento dell'azione scenica (il recitativo) e quello sentimentale e virtuosistico (l’aria). L’esempio più formidabile delle loro idee fu il libretto metastasiano della Didone abbandonata, nel 1724. Gluck, coadiuvato e ispirato dall’ambiente culturale viennese teorizzò che tutti gli elementi dell'opera dovessero concorrere, insieme e allo stesso tempo, al racconto serrato della trama. Il suo intento quindi fu di ridurre all'osso i cambi di scena, togliere la cesura tra recitativo e aria, abolire gli ad libitum dei cantanti e le riprese da capo, sacrificare i balletti se non quelli previsti dal racconto, fare del coro un personaggio ben preciso, e usare l'orchestra non come accompagnamento del canto ma come espressione degli stati d'animo dei personaggi e come commento della scena stessa. Riuscì a fare tutto questo? La storia ci restituisce bene il suo work in progress: Orfeo ed Euridice ha ancora pezzi a sé stanti (l’ouverture e la conclusione lieta), mentre sembrano avvicinarsi più alle intenzioni dichiarate le opere successive (Alceste, Paride ed Elena, Iphigénie en Aulide, etc). In ogni caso il gusto del pubblico settecentesco, che non sentiva affatto l'esigenza di andare a teatro per seguire una trama, ma solo per sentire bella musica, fece sì che la riforma non fece così presa sui compositori del periodo ma fu "assorbita" nel periodo romantico, a iniziare con Berlioz.
Organico
5 Soprani, Coro, 2 Flauti, 2 Oboi, 2 Corni, 2 Trombe, Timpano, Pianoforte, 2 Violini, 2 Viole, Violoncello, Basso continuo |
Lo Sapevi che...
Il mito di Orfeo è stato molte volte ospitato a Firenze: sembra che proprio alla corte di Lorenzo il Magnifico, intorno al 1480, Angelo Poliziano scrisse il dramma L’Orfeo. Non sappiamo se fu mai davvero rappresentato, ma è una delle primissime espressioni del mito nell’epoca moderna. L’opera Euridice, su testo di Ottavio Rinuccini, fu musicata quasi interamente da Jacopo Peri per le nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia, e allestita all’interno di Palazzo Pitti nel 1600. Un paio di arie di questa versione furono scritte da Giulio Caccini che, nel 1602, ancora a Palazzo Pitti, allestì una sua personale messa in musica integrale del testo di Rinuccini. L’opera di Gluck è stata rappresentata per la prima volta a Vienna nel 1762. Nel 1769, per la corte di Parma, Gluck approntò alcuni minimi aggiustamenti. Nella versione viennese l'opera è giunta a Firenze, al Teatro del Cocomero, nel 1771 (forse con lo stesso Gluck a dirigerla dal podio), ed è stata replicata in forma semiscenica sia a corte che a Palazzo Davanzati, in via della Porta Rossa, nel 1773. Nel 1774, Gluck scrisse una seconda versione dell'opera per l'Opéra de Paris, molto rimaneggiata rispetto alla precedente e con testo in francese. Nel frattempo, però, nel 1770, Johann Christian Bach aveva allestito l'opera gluckiana a Londra, e aveva inserito arie da lui composte. Questa versione londinese "composita" (di Gluck ma con arie aggiunte di Bach), giunse anche a Napoli, dove Josef Mysliveček inserì a sua volta altre arie! Quello di Bach e Mysliveček era il comportamento normale dei compositori, che quasi sempre adattavano l'opera che veniva replicata nei teatri di cui erano manager. Il loro atteggiamento prova, altresì, l'indifferenza che molti musicisti provarono nei confronti della riforma gluckiana. L'aria «Chiare fonti», composta da Bach, fu collezionata dai Sermolli, ed è visibile in questa mostra.
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